(3/11/2018 un vecchio articolo tratto dal Corriere a dimostrazione che nel dibattito politico italiano nulla si crea, nulla si distrugge e tutto si ricicla)
Ma dove sono tutti quanti? Così pare che abbia esclamato il fisico Enrico Fermi riflettendo sul fatto che, dato l’enorme numero di stelle che popolano l’Universo, dovrebbero essere numerosissime anche le civiltà extraterrestri. Ci si può porre oggi la stessa domanda pensando ai tanti difensori tutti di un pezzo (acronimo: Dtpc) della Costituzione italiana. Mentre non sappiamo se gli extraterrestri esistano oppure no, sappiamo per certo che i Dtpc, almeno fino a un paio di anni fa (ancora ai tempi del referendum costituzionale), esistevano. All’epoca, anzi, erano numerosissimi e chiassosissimi: sempre pronti a gettarsi generosamente nella mischia, pronti a menar le mani non appena qualcuno minacciava di cambiare una virgola o un punto e virgola di un qualche comma della Costituzione. Allora scattavano subito le tre M: mobilitazioni (ovviamente antifasciste), manifesti, manifestazioni. Un diluvio di parole in libertà. Il mondo Dtpc è (era?) un mondo/movimento stratificato e gerarchico. Al vertice ci sono le componenti più istituzionali. È ovviamente folta, ai livelli di vertice, la presenza di politici di professione che però cambiano, entrano o escono dal giro a seconda delle circostanze. Oltre a diverse presenze fisse (per lo più politici già attivi all’epoca della Prima Repubblica) ci sono talvolta anche presenze bizzarre e estemporanee. Nell’ultimo giro, quello del referendum costituzionale, ad esempio, essendo adirato (non senza ragioni) con Matteo Renzi, ci è finito dentro persino Silvio Berlusconi. Sempre al vertice ci sono le organizzazioni sopravvissute al naufragio della sinistra del tempo che fu (Cgil, Magistratura Democratica, Anpi eccetera). Seguono poi, un gradino più sotto, gli intellettuali organici del movimento Dtpc, essenzialmente professori di diritto (costituzionale ma non solo). Dietro (o al di sotto) di loro, c’è un variopinto caravanserraglio composto da intellettuali di ogni grado e tipo, gente dello spettacolo, eccetera. Al fondo della torta, ultimo strato, infine, troviamo tanti cittadini comuni sempre pronti a mobilitarsi, a rispondere positivamente ai richiami che provengono dagli strati superiori. Tutti, dal vertice in giù, sono accomunati dal fatto di essere pronti a scattare in qualunque momento, ardendo di indignazione per la Costituzione minacciata e la democrazia in pericolo. Si noti che un tempo il movimento suddetto non si attivava solo in occasioni istituzionali (referendum): bastavano certe dichiarazioni non di suo gradimento in materia costituzionale da parte di capi politici importanti ma detestati dal movimento stesso per scatenare la buriana. Minimo minimo arrivavano una vagonata di articoli indignati e il solito appello dei soliti intellettuali. Ma ora dove è andato a nascondersi il movimento Dtpc? Qualche mese fa, i capi (quelli veri, Casaleggio e Grillo) del partito più forte, i 5 Stelle, hanno manifestato il proposito di rottamare il Parlamento. Un paio di settimane fa Grillo ha attaccato i poteri del capo dello Stato.
Ci si poteva aspettare, da parte dei Dtpc, un baccano d’inferno. C’è stato invece un assordante silenzio. Già un’altra volta, poco tempo fa ( Corriere , 14 agosto), ho provato inutilmente a stanarli.
Le circostanze presenti gettano sui Dtpc una luce nuova. Un tempo si poteva anche pensare che a muoverli fossero soprattutto il provincialismo e l’ignoranza di come funzionano le altre democrazie occidentali insieme all’inconfessabile desiderio di continuare ad avere una democrazia inefficiente.
Chi scrive non era il solo a chiedersi: come fanno costoro a definire «progetto autoritario» qualunque proposta di rafforzamento dell’esecutivo? Non si rendono conto che questa tesi non regge né dal punto di vista storico né da quello comparativo? Non possono non sapere che le ragioni per cui i costituenti scelsero di dare vita a governi istituzionalmente deboli si spiegano con le speciali circostanze in cui nacque la Costituzione italiana. Inoltre, devono sapere che governi istituzionalmente forti sono la regola nelle grandi democrazie europee (Cancellierato in Germania e Spagna, governo del premier in Gran Bretagna, semipresidenzialismo in Francia). Perché solo da noi rafforzare il governo dovrebbe comportare un salto dalla democrazia all’autoritarismo? A motivare tesi così inconsistenti era — o così sembrava — soprattutto l’ostilità per l’idea stessa di democrazia efficiente, governante. Essi temono più di tutto — si poteva pensare — una politica capace di decidere, una politica non intralciata da un eccesso di poteri di veto. Appariva chiaro il fatto che essi non comprendessero la differenza che corre fra i solidi argini costituzionali necessari per impedire ai governi di diventare tirannici e un insieme di poteri di veto così stringenti e pervasivi da rallentarne al massimo l’attività e da renderli sempre fragili, instabili, di breve durata.
Questo era, in altri tempi, tutto ciò che poteva pensare chi dissentiva dai Dtpc pur riconoscendo a molti di loro l’attenuante della buona fede. Oggi quel riconoscimento non è più possibile. Sembra proprio che alla maggioranza di questi paladini della Costituzione nata dalla Resistenza importi ben poco sia della Costituzione che della Resistenza: la difesa della Costituzione contro le «involuzioni autoritarie» è più che altro un’arma politica di comodo da utilizzare contro il nemico di turno, si chiami Bettino Craxi, Silvio Berlusconi o Matteo Renzi.
Evidentemente, essi non considerano nemici Grillo, Casaleggio e soci. Per inciso, questo è un aspetto che richiederà di essere studiato a fondo. Suggerisco che abbia a che fare con una questione di consonanze ideologiche, di affinità elettive: peronisti sono i 5 Stelle, peroniste sono sempre state le concezioni dominanti negli ambienti intellettuali italiani. Poiché, comunque sia, i Dtpc non catalogano i 5 Stelle come nemici, essi possono soprassedere, possono fischiettare, fingere di non avere ascoltato i propositi costituzionalmente eversivi di Grillo e Casaleggio.
In tempi più civili, i Dtpc, reduci dalla grande battaglia combattuta e vinta contro il «progetto autoritario» (come lo definivano) di Matteo Renzi, avrebbero per lo meno cercato di salvare le apparenze. Avrebbero finto di essere scandalizzati dalle parole di Grillo e Casaleggio. Quei tempi civili sono passati, non è più nemmeno necessaria l’ipocrisia: il vizio non ha più bisogno di rendere omaggio alla virtù.
In Italia, diceva Giovanni Giolitti, le leggi si applicano ai nemici e si interpretano per gli amici. Vale anche per la Costituzione. (Corsera, 3/11/2018)